Nebiolo - Via Pier Carlo Boggio, 26

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altre sedi Via Bologna, 47 | Via Bologna, 55

Nel 1878 Giovanni Nebiolo, un operaio tipografico nativo di Moncalieri, decide di acquistare con i suoi risparmi, una piccola fonderia di caratteri composta da poche macchine e qualche attrezzatura.

Pochi anni più tardi, nel 1880, Giovanni Nebiolo, che ha arricchito l’officina di nuovi macchinari e che dirige personalmente i pochi operai che vi lavorano, entra in contatto con un nuovo socio Ermenegildo Cunaccia: l’impresa muta ragione sociale e nasce così la "Snc Nebiolo", avente per oggetto "l’esercizio di una fonderia di caratteri tipografici a stereotipia e relativo commercio"[Archivio Tipografico, 1930]. Il sodalizio tra Nebiolo e Cunaccia ha però breve durata ed è sciolto già nel giugno dello stesso anno, quando entra in azienda Lazzaro Levi, originario di Nizza Monferrato, che stringe con Nebiolo un patto associativo della durata di 19 anni. L’atto sociale prevede una divisione dei compiti nella gestione dell’impresa (che, denominata "Nebiolo&C sns" può contare su un capitale sociale di Lire 65000): Lazzaro Levi si occupa della parte amministrativa e commerciale, e Giovanni Nebiolo assume la "direzione tecnica dello stabilimento e del personale addetto al medesimo" [Archivio Tipografico, 1930].

Fin dai primi anni degli esordi emerge quindi chiaramente quella che sarà una caratteristica tipica della Nebiolo: il continuo avvicendarsi ai suoi vertici di svariati proprietari e finanziatori, cosa che contribuisce a renderla molto diversa dalla tipologia aziendale "caratterizzata da una costante presenza, nella proprietà e negli organismi direttivi, di esponenti di una particolare famiglia" [B. Pesce, 1999-2000].

Tra il 1888 e il 1890 dopo i primi successi, Levi e Nebiolo aprono la porta ad altri tre nuovi soci accomodanti: Giuseppe Levi, fratello di Lazzaro, Benedetto Foa (suocero di Lazzaro Levi) e il banchiere Giuseppe Bedarida. Questa manovra porta a due risultati immediati, e cioé alla trasformazione della società in accomandita semplice e, soprattutto, ad un consistente aumento del capitale sociale che raggiunge la quota di Lire 250000, consentendo così alla Nebiolo di poter effettuare gli investimenti necessari all’avvio, nel 1890, della produzione di macchine grafiche, un’attività che si rivelerà negli anni uno dei principali punti di forza della fabbrica torinese.

Nel maggio del 1891 Giovanni Nebiolo decide che i tempi sono oramai maturi per ritirarsi dagli affari e, grazie ai suoi risparmi e alla "somma accordatagli dagli altri soci perché lasciasse il proprio nome nella ragione sociale, può soddisfare la sua nostalgica aspirazione di ritirarsi nel paese natio" [Archivio Tipografico, 1930]. Dopo la sua uscita di scena a guidare l’impresa sono così i due fratelli Levi che grazie al successo ottenuto con la produzione di macchine grafiche intraprendono un’operazione di ulteriore consolidamento finanziario della società con l’ingresso, nel 1899, di nomi noti dell’imprenditoria piemontese (Celestino Debenedetti, Gustavo Deslex e Bernardino Gullino), e con la stipula, nel 1903, di un patto associativo con le Fonderie Subalpine (antica fabbrica di fonderie di ghisa) che "rende la Nebiolo indipendente nella produzione di getti di ghisa per le macchine tipografiche utensili" [B. Pesce, 1999-2000].

Nel 1906, per far fronte alla congiuntura economica sfavorevole, la Nebiolo si orienta verso la formazione di un cartello con l’Urania di Milano, industria del settore grafico che rappresenta il suo principale concorrente, che permette di superare la crisi grazie a un sensibile aumento del capitale sociale che passa da 3 a 4 milioni.

In seguito, nel 1908, (dopo aver mutato, nel 1906, la propria ragione sociale in Società Anonima Nebiolo), è raggiunto con l’Urania un altro importante accordo, e cioè la realizzazione di un nuovo sodalizio, l’Augusta, "una sorta di holding rappresentata dai due amministratori delegati, Lazzaro Levi per la Nebiolo e Alberto Lobetti-Bodoni per l’Urania" [B. Pesce, 1999-2000].

Questa strategia, unita ad un’organizzazione delle vendite che si articola in molteplici filiali in Italia e all’estero, permette al complesso torinese di registrare, nel primo decennio del XX°secolo, una rilevante crescita testimoniata anche dal trasferimento degli stabilimenti dagli originari locali di Corso Vittorio Emanuele II a quelli dell’ ex Società di panificazione (tra Corso Palermo e Corso Regio Parco), in un grande stabile a due piani sopra un’area complessiva di 6000 metri quadrati all’interno del quale trovano spazio la Fonderia Caratteri e la Fabbrica di macchine grafiche.

A frenare questa espansione interviene però lo scoppio del primo conflitto mondiale che, a causa dei cessati approvvigionamenti da Francia e Germania, comporta una chiusura in passivo del bilancio del 1914. L’azienda, che nel frattempo è stata costretta a sopprimere tutte le proprie filiali (ad eccezione di quella milanese) e a ridurre sensibilmente il numero dei dipendenti, è "salvata" da Carlo Parea, amministratore delegato dell’Augusta, che elabora un piano economico che prevede "il blocco dei pagamenti ai creditori e un finanziamento da parte delle banche di Lire 400.000" [B. Pesce, 1999-2000] e, nel contempo, l’accorpamento della fabbrica nel novero degli stabilimenti dichiarati ausiliari dal Comitato Centrale di Mobilitazione industriale. Come struttura ausiliaria, la Nebiolo vede la propria produzione convertita alla realizzazione di macchine utensili, campo nel quale esiste una domanda sempre crescente dovuta al blocco delle importazioni dalla Germania, nazione in cui si concentrano le principali imprese produttrici del settore. Perciò la costruzione di macchine utensili, rappresenta per tutto il periodo bellico, l’unica attività produttiva dell’impresa, che abbandona completamente, fino al termine del conflitto, la produzione di caratteri e di macchine grafiche.

Al termine del conflitto, superata non senza qualche difficoltà la fase di riconversione industriale, la Nebiolo porta a termine, nel 1919, un disegno volto ad accorpare sotto il suo unico marchio sia l’Urania (con la conseguente liquidazione della Augusta) che le Fonderie Subalpine, gettando così le basi per una nuova fase di sviluppo, incoraggiata anche dal provenire di "nuove e cospicue ordinazioni dalla clientela italiana ed estera" [L.Smeriglio, 1991-1992].

Con i primi anni 20 del 1900 ha inizio una vera e propria fase di riorganizzazione e di razionalizzazione del ciclo lavorativo, che porta la società a costruire tre nuovi stabilimenti sul territorio cittadino.

Nel 1922 sono infatti edificati gli edifici della Fonderia Caratteri, della Fonderia ghisa e della Fabbrica Macchine.

La sezione Fonderie caratteri ha sede in Via Bologna 47. Si tratta di un "edificio industriale della lunghezza di 180 metri, fronteggiante la Via Padova, e della lunghezza di 17 metri e rivolto verso Via Bologna" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3396], a tre piani, costruito su una superficie complessiva di circa 35000 metri quadrati. E’ senza dubbio un complesso all’avanguardia considerato non solo la fonderia di caratteri più grande d’Europa, ma anche quella che per prima sostituisce con l’energia elettrica il riscaldamento a gas dei crogiuoli delle macchine da fondere, pratica che porta notevoli vantaggi sia dal punto di vista produttivo che da quello lavorativo. Infatti il riscaldamento elettrico, mantenendo una temperatura costante nei crogiuoli, permette di ottenere "una maggiore omogeneità nelle leghe metalliche" [L.Smeriglio, 1991-1992] eliminando i fenomeni di surriscaldamento che, sfibrando le leghe, costituiscono uno dei "principali inconvenienti legati all’uso del gas" [L.Smeriglio, 1991-1992]. A ciò si uniscono i miglioramenti delle condizioni igieniche delle sale di lavoro all’interno delle quali, grazie alla possibilità di applicare ai crogiuoli delle particolari chiusure, diminuiscono sensibilmente le esalazioni sprigionate dal gas bruciato e dalle leghe metalliche portate allo stato fuso.

Il primo piano dell’edificio ospita la tipografia interna (dove sono stampati i cataloghi, i listini dei prezzi e i moduli di amministrazione interna), il secondo piano ospita i reparti responsabili dei processi di incisione e al terzo piano trovano spazio quelli adibiti alle fasi di fusione. Accanto alla Fonderia caratteri sono anche ubicati i locali della direzione e degli uffici amministrativi.

Sempre in Via Bologna, al numero civico 55, "situato nel terreno delimitato a giorno dalla Via Bologna, a ponente dallo stabilimento Fonderia caratteri della stessa società, a notte dalla Via Como, e a levante dal Corso Novara" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3396], si trova il complesso della fonderia ghisa, dove si effettuano le fusioni dei getti di ghisa necessari alla costruzione delle macchine da stampa e dove si preparano fusioni per conto terzi, getti per materiale ferroviario e pezzi particolari per le condotte di acqua e gas. L’edificio è a due piani e presenta "al piano terreno il reparto officina meccanica e la portineria con alloggio del custode e del telefonista e al primo piano lo spaccio aziendale, gli spogliatoi, i lavabi e i refettori per capi operai e operaie, un magazzino modelli ed un laboratorio chimico." [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3396] Accanto allo stabilimento sorge anche l’edificio della direzione della fonderia ghisa con annessi gli alloggi dei funzionari: uno stabile a tre piani con "la portineria e vari uffici al piano terreno, al primo piano due alloggi e al secondo piano tre alloggi." [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3396]

In borgo San Paolo, al numero 26 di Via Pier Carlo Boggio, in uno stabile acquistato dalla ex-fabbrica Dubosch, sorge invece la Sezione Fabbrica macchine, altro fiore all’occhiello della Nebiolo per la modernità dei macchinari e dell’organizzazione del lavoro. Un edificio lungo125 metri e alto 114 che si estende su due piani ("al piano terreno, in un unico salone, trovano spazio i reparti montaggio macchinario pesante, trapani radiali, alesatrici e pialle e al primo piano trovano posto l’Ufficio tecnico, l’archivio, la scuola, il locale elettricisti e vari magazzini" [Intendenza di Finanza, Reparto VI, Danni di Guerra, Cartella N° 3396]), su una superficie di 30000 metri quadrati (22000 dei quali coperti).

Vi lavorano circa 600 operai ripartiti nelle sezioni di produzione parti macchine, di utensileria, di attrezzeria, di montaggio macchinario pesante, di montaggio torni medi e piccoli, di montaggio torni automatici, di montaggio macchine grafiche, di falegnameria e di fucine trattamenti termici. Una struttura di rilevanti dimensioni che lavora, annualmente quasi due milioni di chilogrammi di ghisa, centomila chilogrammi di acciaio e produce più di novecento macchine di altissima qualità sottoposte a scrupolosi collaudi (addirittura cinque) prima di essere immesse sul mercato.

L’inizio degli 20 del XX secolo si caratterizza anche per la presenza, all’interno dei tre stabilimenti, di una forte tensione tra le organizzazioni dei lavoratori e la direzione aziendale.

La prima scintilla scoppia nel settembre del 1920 quando gli operai della Fonderia caratteri aderiscono allo "sciopero delle lancette" ed occupano lo stabilimento fino alla fine del mese, data dell’accordo nazionale dei metalmeccanici.

Nei primi due anni del regime fascista non si hanno episodi di protesta da parte dei lavoratori, anche se restano, tra proprietà e maestranze, alcune divergenze legate soprattutto al salario e ai ritmi di produttività.

Le prime proteste operaie in epoca fascista risalgono al 1924 quando i lavoratori della fonderia caratteri, in occasione del rinnovo del contratto di lavoro metalmeccanico, danno vita ad uno sciopero che dura tutto il mese di gennaio. La posizione della direzione appare subito chiara: si decide licenziamento per tutti i 180 operai dello stabilimento, che sono poi gradualmente reintegrati in seguito all’intervento del governo. Tuttavia l’agitazione dei lavoratori prosegue (causando un sostenuto calo della produzione) fino alla fine di giugno, quando il licenziamento di tutti gli scioperanti e la loro completa sostituzione, pone fine alla vertenza.

Nonostante i problemi legati alla conflittualità operaia, l’azienda attraversa tra il 1924 e il 1927 un periodo di prosperità dovuta ai molteplici trattati commerciali stipulati dal governo con le nazioni in cui la Nebiolo esporta e "alla scarsa competizione con la Germania, il principale concorrente estero, raggiunta e superata sul piano della qualità" [B. Pesce, 1999-2000].

Questa situazione favorevole termina però nel1927 in seguito alla politica di rivalutazione della lira adottata dal regime che penalizza fortemente le esportazioni, colpendo principalmente tutte quelle imprese, e tra queste la Nebiolo, rivolte ai mercati esteri.

Ma è la crisi economica internazionale del 1929 che segna per la società torinese l’inizio di un travagliato periodo: molte nazioni pongono infatti limiti e restrizioni al commercio internazionale (aumenti delle tariffe doganali, divieti di importazioni, contingentamenti), il che significa per la Nebiolo una forte diminuzione del volume delle vendite non solo sul mercato italiano, ma soprattutto su quello estero (Spagna e Sud America in primis). Per risolvere questa situazione sfavorevole la direzione decide di attuare una politica di riduzione dei costi che prevede il taglio della manodopera in esubero nei paesi colpiti più gravemente dalla crisi e la diminuzione dell’orario di lavoro negli stabilimenti italiani (alcuni dei quali sono però chiusi). Nel 1934 il duro periodo della crisi sembra essere arrivato alla fine con la riapertura di nuove prospettive commerciali relative al materiale extra grafico. In realtà è un’illusione. Infatti le sanzioni economiche imposte contro l’Italia nel 1935 dalla Società delle Nazioni decretano "nella maggior parte dei governi stranieri il blocco delle importazioni delle merci italiane"[D. Savant Levra, 1995-1996], causando una stagnazione degli affari sui mercati esteri e difficoltà su quelli italiani dove si registra "un calo di ordinazioni da parte delle tipografie (i maggiori acquirenti della Nebiolo) costrette a ridurre il loro ritmo di lavoro in seguito ad un provvedimento governativo che impone restrizioni all’uso della carta" [D. Savant Levra, 1995-1996].

Questa situazione di difficoltà persuade la Nebiolo ad orientare la propria produzione verso una lavorazione extra grafica. Così a partire dal 1936 viene intrapresa la fabbricazione di macchine utensili (torni, torni di utensileria, affilatrici, piallatrici, spuntatrici) con risultati rilevanti sul piano economico.

Dal 1940, l’impresa, in virtù delle esigenze dettate dalla produzione bellica e incoraggiata anche dalla tipologia degli impianti e dalla professionalità delle maestranze, intensifica la produzione di macchine utensili (insieme alla costruzione di componenti per proiettili e per bombe a mano) riuscendo a chiudere l’attività con "utili netti di 4.065.081 Lire". [D. Savant Levra, 1995-1996]

Il 1941 e il 1942 si inseriscono in questa scia positiva e fanno registrare una crescita di tutti i settori produttivi, da quello delle macchine utensili e delle fonderie ghisa, fino a quello delle lavorazioni grafiche (che fa registrare un aumento delle lavorazioni pubblicistiche ed editoriali).

Nel 1943 la tendenza torna però ad essere negativa causando una drastica diminuzione del fatturato. Una delle cause principali di questo andamento va sicuramente ricercata nei danni provocati dai bombardamenti alleati che colpiscono duramente gli stabilimenti tra il novembre-dicembre 1942 e il luglio-agosto del 1943, provocando ingenti danni agli impianti, ai macchinari e la distruzione quasi completa del magazzino generale.

L’unico complesso ad essere risparmiato dalle bombe alleate è quello della fonderia caratteri che riesce addirittura ad incrementare la propria produzione rispetto all’anno precedente, anche perché può contare su un sensibile aumento della disponibilità di materia prima "dovuto principalmente alla trasformazione dei rottami in lega provenienti dalle litografie danneggiate dai bombardamenti" [D. Savant Levra, 1995-1996].

Nel 1944 l’attività dei tre stabilimenti si svolge sotto l’occupazione tedesca con la direzione che appoggia, da subito, la causa della Liberazione adottando una strategia tesa a fornire alle forze naziste solamente il minimo quantitativo di prodotto necessario ad evitare la deportazione delle maestranze nei campi di concentramento ed il trasferimento dei macchinari. L’inesatta compilazione dei documenti indicanti i rifornimenti delle materie prime causa il rallentamento della produzione delle macchine utensili commissionate dai tedeschi, permettendo così di raggiungere il primo obiettivo, mentre non si riesce ad evitare del tutto il trasferimento dei macchinari che, in parte, "sono trasferiti sul Lago di Garda, luogo considerato più sicuro dai bombardamenti" [B. Pesce, 1999-2000].

Intanto i vertici aziendali procedono alla ricostruzione degli impianti danneggiati e al rinnovo dei macchinari con l’intento di porre la Nebiolo in condizioni tali da poter competere, a guerra finita, con la concorrenza dell’industria straniera.

Questi interventi comportano un aumento del potenziale produttivo dell’azienda (che ha nello stabilimento fabbrica macchine il nucleo produttivo principale): i primi risultati positivi iniziano così a vedersi già alla fine del 1944, quando si registra un aumento delle lavorazioni che permette la chiusura del bilancio "con un utile netto di Lire 5137245" [D. Savant Levra, 1995-1996].

Il 1944 rappresenta però anche una tappa significativa per il movimento antifascista operante all’interno dei tre stabilimenti che occupano 1650 dipendenti (800 nella fabbrica macchine, 700 nella fonderia caratteri e 150 nella fonderia ghisa [Verbali dei CLN Aziendali E/82/C]).

Infatti alle prime organizzazioni antifasciste formatesi subito dopo la costituzione della Repubblica di Salò, si aggiungono le brigate Sap di stabilimento: una organizzata nelle due sezioni di Via Bologna e l’altra (la Terza Brigata Sap Giulio, che prende il nome da quello di Giulio Berardengo, un dipendente caduto in guerra) in quella di Via Pier Carlo Boggio. Quest’ultima ha tra le sue fila un numero ridotto di partigiani e collabora, nell’organizzazione e nello svolgimento di ogni azione, con i distaccamenti di altre due grandi fabbriche di Borgo San Paolo, la Fiat Materiale Ferroviario e la Westinghouse, contrariamente a quanto accade nel complesso di Via Bologna dove, la notevole partecipazione dei dipendenti alle attività partigiane, permette la creazione di una struttura totalmente indipendente dal punto di vista organizzativo. Ad affiancare queste organizzazioni nasce anche, nel febbraio del 1945, il Comitato di Liberazione di Fabbrica.

La lettura dei verbali del Cln aziendale permette anche di quantificare il numero dei lavoratori che partecipa, clandestinamente, al movimento resistenziale: si tratta di trentacinque persone (nove di queste, fra cui tre deportati nei campi di concentramento, muoiono durante la lotta di liberazione), quasi tutti operai specializzati, tra le quali si trova anche l’ingegner Heinking, un dirigente di origine tedesca che "ha la scomoda funzione di tramite tra i tedeschi e gli italiani" [D. Savant Levra, 1995-1996].