G. De Luna, Tra i carnefici anche fascisti italiani. Il nostro passato non si può cancellare

L’articolo è stato pubblicato su “La Stampa” il 25 marzo   2023*

A questo punto è meglio che stiano zitti. L’Italia della Resistenza è chiaramente un passato ostico per la destra che ci governa. Non lo si può cancellare, come non si può cancellare la nostra Costituzione antifascista. E quindi in qualche occasione bisogna parlarne, adempiendo a un dovere istituzionale. E allora se ne parla male, omettendo, tacendo, edulcorando. Soprattutto in quei discorsi manca la chiarezza.

E’ stato così anche per l’anniversario delle Fosse ardeatine, nel ricordare quel 24 marzo 1944, quando i tedeschi fucilarono 335 ostaggi per rappresaglia, in seguito all’attentato partigiano di via Rasella, a Roma. ”Italiani”: così Giorgia Meloni ha chiamato le vittime dell’eccidio.

Ma “italiani” erano anche quelli che collaborarono al massacro insieme ai tedeschi: il Ministro dell’Interno della Repubblica di Salò, Guido Buffarini Guidi; il questore di Roma, Pietro Caruso; il criminale di guerra e capo di una “banda” di aguzzini, Pietro Koch. “Italiani” non è un termine che fa chiarezza.

Tra il 1943 e il 1945 italiani antifascisti lottarono armi in pugno contro gli italiani fascisti. Fu così in Italia, e fu così in Europa. In Francia, ad esempio, i francesi di De Gaulle combatterono contro i francesi di Pétain. E così in Belgio, in Olanda, in Norvegia, ovunque l’occupazione nazista obbligò i popoli a schierarsi. I fronti non erano più quelli dettati dalla geopolitica della Prima guerra mondiale (italiani contro austriaci, francesi contro tedeschi) ma scaturivano direttamente dalla dimensione tutta ideologica della Seconda guerra mondiale: fascismo contro antifascismo, nazismo contro comunismo, dittatura contro democrazia, totalitarismo contro libertà. Si era obbligati a scegliere da che parte stare. E i fucilati alle Fosse Ardeatine avevano scelto di essere antifascisti, pagando con la vita quella scelta. Tutti erano Todeskandidaten (persone da eliminare) già rinchiusi nelle prigioni fasciste e naziste, appartenenti alle varie organizzazioni politiche che partecipavano alla Resistenza, dal Partito d’Azione alla Democrazia Cristiana, in uno schieramento che accomunava comunisti e monarchici, anarchici e socialisti, etc… In particolare, 154 erano persone a disposizione dell'Aussenkommando, 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco e altre già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni; 75 appartenenti alla comunità ebraica romana; 40 persone a disposizione della Questura, fermate per motivi politici; 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza; 10 arrestate nei pressi di via Rasella subito dopo l’attentato; una persona già assolta dal Tribunale militare tedesco; sette vittime non furono identificate e non fu possibile stabilirne l’appartenenza. La faticosa compilazione delle liste con i nomi di chi sarebbe stato mandato a morte fu un esercizio tanto macabro quanto laborioso e non avrebbe potuto svolgersi senza la collaborazione delle autorità italiane, fasciste.

Non ci voleva molto a ricordarlo, aiutando i giovani a chiarirsi le idee su quel passato. Ma Giorgia Meloni non lo ha fatto e per di più ha chiamato i fucilati vittime “innocenti”. E questo è proprio un aggettivo che non meritano. L’innocenza presuppone il candore di chi viene ammazzato senza colpe, travolto da un evento inspiegabile. Non fu così. Quelli ammazzati alle Fosse Ardeatine erano colpevoli, di sicuro lo erano per chi li uccise. E la loro colpa era stata proprio quella di scegliere da che parte stare. Chiamarli innocenti vuol dire negare ogni consapevolezza e ogni dignità in quella scelta: se morirono lo fecero non certo per gridare la loro innocenza ma per scagliare la loro colpa in faccia agli aguzzini.

*Lo storico Giovanni De Luna scrive per il quotidiano “La Stampa”. Lo ringraziamo per averci concesso di ripubblicare questo articolo

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